lunedì 28 gennaio 2013

Regolamento "Ri/Scatto"



1. COS’É?

“Ri/Scatto” è un concorso fotografico che vuole raccontare cosa significano oggi gli insediamenti industriali istallati nell’area del “Cratere”. 

2. PERCHÉ?

È necessario fermare in uno scatto il momento del risveglio dal “sogno industriale” dei paesi terremotati, ritornare in questi luoghi per vedere cosa sono diventati, segnalare gli sprechi, il cemento, la pericolosità di alcune fabbriche, narrare le belle o le brutte storie, il lavoro e le vertenze attraverso la forza delle immagini. 

3. CHI ORGANIZZA? 
“Ri/Scatto” è indetto nell’ambito del progetto socio-culturale ed artistico “Oper-A-zione”, frutto della collaborazione di diverse associazioni dell’area del Sele-Tanagro in provincia di Salerno. Le realtà finora coinvolte sono: “La fabbrica delle idee – Zompa chi pot” e la pro loco di Palomonte, “Bandiera Bianca”, “Dodekathlos” ed “ARS” di Contursi Terme, la “Pro loco Olivetum Felix” di Oliveto Citra, la pro loco e “Sephirot” di Buccino e “Status” i cui soci provengono da tutti i paesi dell’area. Per contattare i responsabili del progetto puoi scrivere una mail ad operaazione@gmail.com o cliccare la pagina di Opera-A-zione


4. CHI PUÓ PARTECIPARE? 
Tutti gli utenti iscritti alla pagina Facebook di Oper-A-zione, almeno per la durata del concorso, senza limite di età e residenti in Italia. 

 5. DOVE? 
Insediamenti industriali del cosiddetto “Cratere” interessati dalla serie di finanziamenti della legge 219/81. Di seguito l’elenco per provincia. 
AVELLINO: Calabritto, Calaggio (Lacedonia-Bisaccia), Calitri, Conza della Campania, Lioni-Nusco-Sant’Angelo, Morra de Sanctis, Porrara, San Mango sul Calore. 
SALERNO: Buccino, Contursi Terme, Oliveto Citra, Palomonte. 
POTENZA: Balvano, Baragiano, Isca Pantanelle, Melfi, Nerico, Tito, Viggiano, Valle di Vitalba. 

6. COME? 
Recati presso uno degli insediamenti elencati, quelli che conosci o che non conosci, vacci da solo o insieme a chi può raccontarti una storia che ha avuto come teatro della vicenda quel luogo e scatta. In questo concorso non contano la tecnica, la qualità della macchina fotografica o la post produzione messe in atto, ma lo scatto in sé, per questo non ci sono limitazioni ai Megabyte, ai colori, al mezzo (dal telefonino alla reflex). Poi clicca “Mi piace” sulla pagina Facebook di Oper-A-zione e invia nei tempi stabiliti a operaazione@gmail.com una o due immagini che rispettino i temi e i luoghi di “Ri/Scatto”. Le foto devono essere corredate da: NOME e COGNOME AUTORE, TITOLO e LUOGO DELLO SCATTO. L’invio della mail vale come accettazione del presente regolamento e permette ad Oper-A-zione di utilizzare le immagini arrivate per le campagne informative e promozionali del progetto. Saranno iscritte al concorso soltanto le foto originali e scattate per l'occasione.

7. QUANDO?
1 Marzo/Aprile 2013.
Prima fase: promozione e ricezione materiale fotografico – 1/31 Marzo.
Seconda fase: votazione popolare - dalle ore 00.00 del 1 alle 23.59 del 15 Aprile.
Terza fase: votazione tecnica – 16 e 17 Aprile.
Quarta fase: premiazione ed inaugurazione mostra con i lavori premiati – 25 Aprile.


8. CHI VINCE? 
Tutte le foto ricevute via mail saranno pubblicate su www.facebook.com/OperaAzione e per quindici giorni saranno oggetto di una gara di “Mi piace” i cui protagonisti saranno i fan della pagina. Al termine della votazione verranno decretati i cinque vincitori del voto popolare. Successivamente una giuria tecnica formata dagli organizzatori e da fotografi professionisti tra le foto non rientranti nella graduatoria popolare ne eleggeranno altre cinque vincitrici. Nel complesso quindi ci saranno cinque + cinque vincitori, in caso di exaequo o altre circostanze la giuria si riserverà di aumentare la platea delle foto vincitrici. 
Tra le dieci foto risultanti vincitrici una giuria tecnica ne eleggerà una, questa sarà la vincitrice finale.

9. COSA VINCE? 
Le dieci foto vincitrici comporranno una mostra allestita in diverse sedi prestigiose e circoleranno in rete per la promozione del progetto. L’autore della foto vincitrice finale sarà premiato con un buono di 100 €.

10. CHI VOTA?
Il voto popolare su Facebook sarà riservato esclusivamente ai fans della pagina Oper-A-zione.
La giuria degli organizzatori sarà formata dai rappresentanti delle associazioni e promotori del concorso.
La giuria tecnica che eleggerà la foto finale sarà composta da:
- Michele Amoruso, fotografo, Daimages Photo Agency;
- Canio Loguercio, musicista, performer e architetto;
- Stefano Ventura, coordinatore Osservatorio sul dopo sisma.

11. INFORMATIVA SULLA PRIVACY 
I dati raccolti saranno utilizzati in modo lecito e secondo correttezza, in osservanza di quanto stabilito dal d.lgs 196/2003.


sabato 26 gennaio 2013

La premiazione e la mostra itinerante di "Devo finir di colorare il mondo che vorrei abitare"

Le immagini del tour dei paesi di Oper-A-zione iniziato il 9 dicembre 2012 a Palomonte con la premiazione dei vincitori del concorso, passato per Oliveto Citra e Buccino, terminato il 6 gennaio 2013 a Contursi Terme.

venerdì 25 gennaio 2013

Le foto dei laboratori

I volti dei veri protagonisti dei laboratori del 18 Novembre: i bambini e ragazzi di Buccino, Contursi Terme, Oliveto Citra e Palomonte.

Dal terremoto alle fabbriche ai bambini. Un'OPER-A-ZIONE di salvezza

Nulla mi è mai appartenuto meno della mia terra. Nulla mi tiene e mi appartiene, ora, più di questa stessa terra. M’affaccio ormai sui trent’anni ed il gioco della soggettività – la mia –, l’illusione di una storia personale, di un destino particolare, esclusivo, unico, s’assottiglia ad ogni respiro. Ogni respiro è un passo verso il nullificante tutto biologico, ogni sospiro artiglia la presa di coscienza dell’irrilevante trasparenza dei colori del mio spirito, che a me parevano, in un tempo che è già remoto, densi, forti, brillanti. Sono uomo tra gli uomini, un uomo negli uomini. Eppure galleggia, sulla superficie dell’agnostica impalpabilità in cui fluttua la vita del mio corpo, un abbozzo filiforme di cui pure non posso ignorare il potenziale narrativo che lo sostanzia. Tra l’estraneità e l’appartenenza, tre gradi mi raccontano, tre momenti – in un hegeliano spicciolo – nel mio spirito, tre domande terra terra nelle viscere. Perché restare in questa terra se essa non m’appartiene? Sono partito quand’era comodo farlo, l’università era un treno merci colmo di giustificanti occasioni da prendere al volo. Mi ha condotto in città, lì dove le cose accadono, dove tutto è diverso, semplice e complesso, distante e a portata di mano. La lontananza è stata un corposo slittamento cognitivo e semantico verso l’alterità che non ha né vuole confini: perché mai dovrei appartenere ad una ed una sola terra? Il ritorno, orpellato da una antifunzionale laurea in filosofia, è la sensitività tutta nuova dei miei occhi fissi sull’interrogativo che è sintesi ad un tempo sincretica e casta di tutto ciò che l’ha preparata e preceduta: come fa questa terra a non appartenermi se è a tutta la terra che appartengo?

Una valle, uno spiegazzato fazzoletto di storia steso tra i monti Alburni, quel che resta di un leggendario fiume – il Sele – a scavare, assieme al suo affluente – il Tanagro –, il solco tra i venti e i dialetti di una dozzina di comunità. È questa, adesso, la mia terra, la terra che ho scoperto bella quanto qualsiasi altra terra. C’è voluto il rischio di perderla una volta per tutte perché potessi ritrovarmi tra le mani la sua fragile bellezza. È il più classico dei paradigmi dell’amore: nel preciso istante in cui si sta per perdere qualcosa, di cui poco o niente ci si curava, ecco che l’acqua si fa vino, la morte si fa vita, l’accidiosa trascuratezza sangue pompato a mille da un cuore ormai perdutamente innamorato, di quell’amore che polverizza ogni distanza tra l’inizio e la fine. La fine della mia valle ha le nefande fattezze di un inceneritore, tirato su in un assordante silenzio ad uno sputo dal fiume. L’inizio è il miracoloso risveglio di questa stessa valle, che di certo non vuole ammalarsi e morire di “munnezza”, e allora scalcia, sgomita e tira fuori le unghie per afferrare la vita e riaffermare il più elementare diritto alla sopravvivenza. Chiudere gli occhi, serenamente, chiuderli e morire solo e soltanto quando il ciclo naturale delle cose sancisce che è il tempo di lasciare questo mondo: guai a dare per scontata, a questo mondo, una grazia simile. La mia terra l’ha imparato sulla propria pelle, la mia gente l’ha capito appena in tempo, il mio mondo ora lo sa. Sa che il cielo terso, l’aria linda, l’acqua cristallina, il verde immacolato sono un bottino di guerra e non una rendita fissa, sa che respirare, bere, mangiare sono una conquista quotidiana e non un’assodata prerogativa, sa che la vita non è un’ovvia elargizione ma una refurtiva recuperata alla falange della morte, la luciferina squadraccia che semina veleno e raccoglie distruzione, il malefico esercito che assolda fabbriche e fabbricatori, amministranti e amministratori, profitti e profittatori. Unirci e allearci per fronteggiare il male era il minimo che noi, abitanti di questa valle, potessimo fare. Affratellarci e riconoscerci simili nello spirito è il massimo a cui noi, figli di questa terra, potevamo aspirare. Via gli sterili campanilismi, al bando gli esasperanti localismi, al diavolo le risibili faide di provincia: da sciatti e distratti co-abitanti, siamo diventati un popolo. Un popolo cosciente e determinato. Cosciente della propria storia e determinato ad impugnare la penna della coscienza per riscriverla, correggere il suo corso, raddrizzare le tante, troppe storture. Riscrivere la storia, ridisegnare il nostro raccontarci dal basso tanto quanto l’altrui raccontarci dall’alto. A partire dal quando e dal dove questa storia si è incrinata, squarciata, abbrutita, inquinata. 23 novembre 1980. Ore 19 e 45. Un rombo, uno strappo. Non dal cielo ma dalla terra, un tuono cupo e capovolto travolge e stravolge il racconto di ogni singolo cristiano. Il violento moto della terra è uno spartiacque universale. Il diluvio di potenza tellurica s’abbatte sulle case di pietra per sradicare dalla terra il corso del destino di chi quelle case le abitava. Niente sarà più come prima. La pioggia di soldi della ricostruzione annacqua le radici. La colata di cemento armato della rifondazione sbiadisce le tradizioni. Dal primario al secondario, scatto di settore economico nella produzione, sembrava un avanzamento, è il progresso, per tale lo spacciava chi comandava e guidava la grande abbuffata di incentivi e risarcimenti. Dal quando al dove, dal minuto e mezzo di terrore dell’ottanta, al successivo sedizioso innesco della bolla industriale, l’artificioso innesto delle aree industriali, spettrali poli produttivi che vennero ad arredare ogni centro urbano, snaturandone prerogative e periferie.

Spianate chilometriche, stese a mo’ di tappeto rosso sotto i piedi di chi fiutava l’affare, intascava i finanziamenti per aprire e, in un lampo, immediatamente chiudere baracca, lasciando i burattini a piangere sui fili spezzati ed il cemento versato. Se avessero spartito tra noi poveri cristi terremotati quella massa immane di soldi pubblici (e quindi, paradossalmente, già nostri), se ci avessero assegnato direttamente, un tot a testa, i miliardi e miliardi di lire stanziati per procurarci un’occupazione nelle fabbriche e restituirci la dignità, ebbene, con ogni probabilità, da queste parti il problema del lavoro non avrebbe avuto modo di esistere, avremmo potuto vivere di rendita, passare le giornate a leggere Platone e trascorrere le notti a cercare la legge morale nel cielo stellato. Ma non è questa la nostra storia: la storia che abbiamo ereditato ci disegna squattrinati, spiantati, emarginati, disorientati dalla lugubre costellazione di capannoni dismessi e fabbriche diroccate, costretti a perpetuare lo stereotipo del terrone che emigra per il pane, prima ancora che per la dignità. È una storia vecchia, è la millenaria narrazione etnocentrica, è il sempiterno racconto del potere. Un rospo indigesto che non va più giù a chi ha scelto di rinunciare finanche al pane pur di far attecchire qui, tra le proprie radici, il seme della dignità. L’amore che plasma l’azzurro e partorisce i principi è il mezzo migliore per propagandare la consapevolezza tutta nuova della propria forza e diffondere la repulsione verso ogni sedimentata, arcaica, storica sottomissione. Chi, se non i bambini, detiene il potere del cambiamento? Dove, se non nella loro caleidoscopica armatura di variopinte idee, rintracciare l’illibata genialità per la più radicale ed assolutaoperazione di ripensamento del gioco – finora a perdere – delle forze? Estirpare l’erbacce della sconfitta, divellere la marcescente sterpaglia dell’incessante disfatta meridionale, scovare i rovi del servilismo covato nell’anima di questa terra, piantare in ogni pozza di degrado un progetto di speranza. I bambini sanno come fare. È un loro segreto. È la loro arte, l’arte della rivolta. Simbolica, semantica, spirituale, materiale. D’altro canto, cos’è il grigio, se non il fondo migliore su cui stendere un verde energico e brillante? Che senso ha una ciminiera se non diventa una scala per dare una mano d’azzurro al cielo? E a cosa serve una fabbrica, se non per produrre i colori? Ora che questa terra m’appartiene e mi tiene, ora che tengo ed appartengo ad essa, ora che questa terra è mia quanto tutta la terra intera, ora che posso e devo disporre di essa come meglio credo, è alla divina onniscienza dei bambini che voglio affidare il bisturi della mia, nostra, loro salvezza.

Angelo Cariello


Emergenze del presente e colori del futuro

Il progetto Opera-A-zione è nato nell’Ottobre 2012, partito come una riflessione sugli insediamenti industriali che la legge 219/1981 ha finanziato nell’area del Cratere irpino, si è sviluppato allargandosi ad altre “emergenze” del territorio salernitano dell’Alta Valle del Sele e del Tanagro coinvolgendo i bambini e i ragazzi di Buccino, Contursi Terme, Oliveto Citra e Palomonte.
L’idea iniziale era quella di tradurre i movimenti di protesta che nei mesi precedenti erano sorti per ostacolare l’accensione e l’istallazione di impianti di lavorazione di rifiuti e scarti industriali, che stavano concretandosi ad Oliveto Citra e Palomonte, in una denuncia dello stato in cui le fabbriche del post-terremoto riversano, da sogno industriale innestato in un territorio ferito che fino ad allora si era dedicato esclusivamente all’agricoltura a nonluoghi cementificati, che solo a fasi alterne, e con luci e ombre, sono riusciti a soddisfare le esigenze occupazionali dei paesi interessati e che negli ultimi tempi purtroppo sono stati individuati come sedi di impianti di trattamento dei rifiuti.
Iniziando a pensare a fasi e modalità di azione, però, insieme ai ragazzi progressivamente coinvolti, sono venute a galla altre emergenze ambientali, e non solo, che ruotano intorno ai nostri paesi. Prima fra tutte, nonostante l’avvio della raccolta differenziata, l’aumento della produzione di rifiuti domestici e soprattutto la ricorrente cattiva abitudine di abbandonarli lungo le strade, nei boschi, nei fiumi… La società dei consumi è arrivata in questi paesi fagocitando le tradizionali forme di produzione, esasperando i bisogni e illudendo che l’unica strada per lo sviluppo fosse l’imitare i grandi centri urbani, mettendo da parte la vocazione agricola e provando la strada dell’industrializzazione; il riutilizzo, regola fondante dell’economia domestica delle famiglie contadine, è ormai sorpassato dall’usa e getta. Altre emergenze, inoltre, interessano ulteriormente le zone industriali del post-terremoto, che si ritrovano ad essere la sede di altre problematiche sia ambientali (come l’errato funzionamento degli impianti di depurazione) che occupazionali e sociali (l’ultimo caso è quello della Profilati Italia, ma il rosario delle fabbriche chiuse ha tante altre decine di grani). Guardandoci intorno, noi ragazzi che non abbiamo vissuto la scossa del 1980 ma le conseguenze del terremoto, scopriamo che la ricostruzione post-sisma ha rappresentato negli ultimi decenni anche la cementificazione selvaggia dei centri storici e delle campagne dei nostri paesi, nonostante alcune belle eccezioni. Occorreva trovare una soluzione a quel grigio e a quel mondo ricostruito che non ci sembra combaciare con le misure e l’identità del punto di partenza. Bastava anche solo una spruzzata di colore per (ri)pensare il futuro di questa terra che, forse per la prima volta, molti di noi hanno iniziato a sentire veramente propria.
L’idea di affidarci ai più piccoli, a chi abiterà i nostri paesi domani, ci è sembrata la prima cosa giusta da fare, in cerca di risposte e proposte a misura di bambino, quindi scevre dalle sovrastrutture e dai pregiudizi dei grandi. Nascono così i due momenti importanti del progetto Oper-A-zione: un concorso artistico-letterario in cui i più piccoli hanno avuto il compito di “colorare” il mondo di domani; una mattinata domenicale con laboratori e attività legate al tema del ripensare i “rifiuti” da svolgersi nelle quattro aree industriali dei nostri paesi.
La mattina di domenica 18 Novembre nelle aree industriali e negli spazi di ritrovo dei quattro comuni, tanti bambini e ragazzi hanno imparato come da ciò che quotidianamente si getta possano essere recuperati e costruiti giochi, strumenti musicali, porta colori e addirittura sculture o figure antropomorfe. La ventata di suoni, giochi e colori di quelle ore credo che in molti se la porteranno nel cuore non solo per le tecniche e i saperi appresi ai laboratori, ma anche per i bei momenti in cui ciascuno di noi è rientrato in possesso di un pezzo dei propri luoghi. Tutte le opere d’arte del riciclo prodotte da questi piccoli operai della catena di montaggio di un futuro migliore formano una mostra itinerante con il compito di diffondere ulteriormente le idee  da cui è partita Oper-A-zione.
Il concorso “Devo finir di colorare il mondo che vorrei abitare”, invece, chiedeva ai bambini di reinventare il foglio di lavoro dove, su carta riciclata, era stampato il logo del progetto, una piccola fabbrica dalla cui ciminiera usciva un nuvolone da riempire con il proprio futuro. Sono stati coinvolti bambini e ragazzi dai 5 ai 13 anni che hanno potuto scegliere diverse forme di espressione (disegno, poesia/filastrocca e tema/racconto) per fornire le proprie indicazioni ai grandi sulle loro speranze e i propri sogni. Il concorso si è concluso con nove vincitori; per ogni fascia d’età individuata (prima, seconda e terza elementare; quarta e quinta elementare; prima, seconda e terza media inferiore) sono stati premiati l’artista più estroso, il poeta più ispirato e il narratore più impegnato. Naturalmente vincitori son stati tutti i partecipanti, ognuno con i suoi colori, i suoi versi, i suoi pensieri, ma volevamo lanciare un altro messaggio premiandone alcuni, affidando loro un albero da frutto, un sacchetto di semi e un’esperienza a contatto con la natura incontaminata del territorio. Le centinaia di fogli colorati su cui sono stati fissati gli obiettivi per il futuro dei nostri paesi, noi li custodiamo gelosamente, ma era importante diffonderli il più possibile. Nasce così questo progetto editoriale grazie ad Angelo Cariello e soprattutto a Vito Pacelli, editore di BookSprint Edizioni. Questo libricino contiene tutti gli scritti dei bambini e ragazzi di Buccino, Contursi Terme, Oliveto Citra e Palomonte che hanno partecipato al concorso, intervallati da pensieri e riflessioni di alcuni ragazzi organizzatori degli eventi di Oper-A-zione. Oltre a diffondere i testi dei protagonisti dell’intero progetto, parte del ricavato di questa pubblicazione servirà a finanziare future azioni di sensibilizzazione ambientale e non solo rivolte ai più piccoli del territorio del Sele e del Tanagro.
Spesso in questo breve testo d’introduzione ho parlato di “noi”, ma chi siamo noi?
Noi siamo ragazze e ragazzi (e non solo) provenienti dai quattro comuni coinvolti, con storie ed esperienze diverse, ma con tante idee e suggerimenti per il presente dei propri paesi. L’idea iniziale di Oper-A-zione è nata dalle riflessioni su un luogo virtuale, laddove manca una piazza fisica si è pensato di riprodurla on line su un gruppo Facebook, "Zompa chi pot", diventato “Fabbrica delle idee”, animato da una serie di persone legate a Palomonte. Si è passati dall’idea alla realizzazione dopo il coinvolgimento di associazioni come "Bandiera Bianca", “ARS onlus”, "Dodekathlos" di Contursi Terme, l’"Associazione Pro Loco Olivetum Felix" e il “Comitato No inceneritore” di Oliveto Citra, l’associazione "Status" ramificata in diversi comuni del Sele/Tanagro, l’associazione “Sephirot” di Buccino, le Pro loco di Palomonte e Buccino. L’incontro di idee e persone ha prodotto non solo questo progetto aperto, ma una serie di azioni e rapporti che hanno superato qualsiasi forma di localismo per costruire insieme le fondamenta di future sinergie. 
Necessario contributo al buon esito dell’intero progetto l’hanno fornito i comuni di Buccino, Contursi Terme, Oliveto Citra e Palomonte che hanno patrocinato l’iniziativa, i dirigenti e i docenti dei plessi scolastici dei quattro paesi che hanno sostenuto la partecipazione al concorso, radio Mpa media partner di Oper-A-zione, tutti i genitori che si sono messi a disposizione e soprattutto i bambini che hanno aderito con entusiasmo al nostro invito a fargli colorare il proprio futuro in modo da imparare da loro.
Ultimo, ma non ultimo, pensiero va a tutte le persone che hanno creduto e lavorato per Oper-A-zione, sono sicuro che insieme riusciremo anche noi a colorare il nostro futuro, qui.

Simone Valitutto